SOS per gli europei in difficoltà

Bruno Vever

Notizie

11 Gennaio 2025


"Nulla è possibile senza persone, nulla è duraturo senza istituzioni". Questa osservazione di Jean Monnet è stata il segreto della nascita politica, dello sviluppo economico, dell'unione monetaria e dell'allargamento continentale dell'integrazione europea. Non c'è rimpianto più grande per l'Europa di oggi che averlo perso.

Mai così tanti europei hanno dovuto così tanto a così pochi

Il segreto della sua nascita politica risiede nell'iniziativa personale di Jean Monnet nel 1950, subito ripresa da Robert Schuman, originario della Mosella e di doppia cultura, allora Ministro degli Affari Esteri, che, senza alcun mandato politico e al di fuori dei canali ufficiali, ottenne l'entusiastico sostegno di Konrad Adenauer, il nuovo Cancelliere che faceva della reintegrazione e della riconciliazione una priorità. L'iniziativa dei tre complici non lasciò scampo all'impreparato governo francese, portando l'anno successivo altri quattro Paesi a firmare il Trattato CECA dei sei membri fondatori, primo passo verso l'unificazione europea.

Il segreto del suo sviluppo economico e commerciale fu la firma, nel 1957, del Trattato di Roma, chiave essenziale delle "trente glorieuses", che generalizzò il libero scambio istituzionale tra i sei Stati membri. Charles de Gaulle, poco incline all'entusiasmo europeo, lo rispettò al suo ritorno al potere, consapevole delle carenze di un protezionismo francese rimasto troppo atavico. D'altra parte, nonostante la dichiarata fraternizzazione con Adenauer, non riuscì a liberare la Germania, ostaggio smembrato di un'Europa divisa tra Est e Ovest, da una morsa americana tanto vitale per lei e i suoi partner quanto vassalla per il Generale. Ma Montesquieu aveva già osservato: "la verità in un tempo, l'errore in un altro".

Il segreto del suo successo monetario, su cui pochi avevano scommesso fino ad allora, risiedeva nella lungimirante audacia di Jacques Delors e Helmut Kohl. Contro le opinioni ampiamente scettiche o contrarie dei loro stessi schieramenti, essi colsero l'opportunità offerta dalla caduta del Muro di Berlino e dalla riunificazione tedesca per spingere François Mitterrand e i suoi omologhi a concludere il Trattato di Maastricht nel 1992, isolando i britannici, affiancati dai danesi, in uno status derogatorio.

Per concludere questi tempi benedetti, la fine della Guerra Fredda grazie all'eccezionale Mikhail Gorbaciov e la caduta del comunismo che l'ha accompagnata hanno finalmente permesso all'Unione Europea di completare il suo allargamento continentale. All'alba del XXI secolo, un'Europa rafforzata, unificata e sovrana sembrava a portata di mano, assicurandole un posto tra le principali potenze mondiali. Ma la crudeltà della storia avrebbe deciso diversamente.

Che ne è stato dei sogni che tenevamo così stretti?

Purtroppo, l'Europa di oggi non sembra più in grado di garantire le condizioni dell'assioma deloriano. I leader eccezionali sono rari, come il loro nome implica per definizione e come tutti possono ormai rimpiangere. E senza successori del loro calibro, le istituzioni europee nate dalla loro audacia, ma confrontate con un mondo in rapida evoluzione, si consumano prematuramente.

Con il vento gelido che si abbatte sull'Europa, ancora una volta di fronte a una Russia aggressiva, l'inno alla gioia di Beethoven sembra destinato a lasciare il posto al lamento di Rutebeuf. Perché questa Unione Europea sprofondata nell'inerzia invernale, con una crudele mancanza di intrepidi attivisti europei tra i suoi leader, sembra davvero aver perso la sua vitalità, la sua fede, la sua ambizione e persino una buona parte della sua anima.

Dove sono finiti i grandi leader europei che ormai si riconoscono solo in foto ingiallite? Perché gli allargamenti successivi hanno finito per appesantire la squadra continentale invece di rafforzarla? E per quale miracolo ventisette Stati, ciascuno eccessivamente aggrappato a troppe prerogative autonome di un'altra epoca, saranno in grado di adattarsi alle sfide urgenti di un vicinato ostile e iperarmato e di concorrenti globali ipercompetitivi che non faranno loro alcun favore?

In assenza di leader in grado di rinnovare o addirittura rifondare l'Unione, essa si trova immersa nell'ignoto, veramente persa "a un ponte troppo lontano", incapace di ottimizzare le sue ricche conquiste passate come di correggere le sue sbadiglianti carenze.

Dopo venticinque anni, la moneta unica rimane priva di qualsiasi convergenza economica o quadro fiscale. Sebbene abbia fornito all'Europa i meriti di una stabilità monetaria senza precedenti, non è stata accompagnata dalla necessaria responsabilità. Troppi Paesi hanno approfittato dell'effetto anestetico di questa stabilità e di una colpevole indulgenza nella sorveglianza reciproca per rimandare le riforme essenziali e mettere sotto controllo le proprie finanze pubbliche. Per alcuni Paesi, Francia in testa, il livello di indebitamento ha raggiunto livelli di allarme, privandoli di qualsiasi margine di manovra per rilanciare l'economia. Le economie di scala che una razionalizzazione europea degli investimenti e delle spese avrebbe reso possibili sono rimaste inesistenti a causa dell'ostinato rifiuto degli Stati membri di rivalutare un bilancio europeo che da sempre è stato fissato a un insignificante 1% del PIL, quando i loro stessi bilanci arrivano a confiscare la metà di quel PIL!

Il suo mercato unico è stato indebolito da innumerevoli buchi a vantaggio di truffatori e contrabbandieri, incoraggiati dall'ostinata assenza di doganieri comuni alle frontiere esterne. Quanto al traballante accordo improvvisato nel Mare del Nord dopo la Brexit, non ha fatto altro che aumentare l'ambiguità, alla maniera di Alan Greenspan che diceva "se pensate di avermi capito, mi sono espresso male".

Per ottant'anni la sicurezza militare dell'Europa è rimasta totalmente dipendente dagli Stati Uniti. Ciò di cui abbiamo bisogno ora a livello europeo è la stessa determinazione che de Gaulle dimostrò a livello nazionale per garantire una sovranità difensiva basata su un deterrente nucleare autonomo.

Infine, come sottolineato dal rapporto Draghi presentato lo scorso settembre, la nostra competitività economica è tragicamente in ritardo rispetto a quella dei nostri nuovi concorrenti, soprattutto nei settori ad alta intensità tecnologica del futuro.

Con tutte queste carenze che si avvelenano a vicenda, l'Europa sta per essere spietatamente emarginata nella grande partita globale di questo secolo, avendo sprecato la maggior parte dei vantaggi che erano alla sua portata.

Erano troppo radi, il vento li ha spazzati via.

Come siamo arrivati qui?

Il disastroso fallimento del Trattato costituzionale nel 2005 ha certamente giocato un ruolo fondamentale, poiché da allora è scattata una molla, l'euroscetticismo non ha fatto che aumentare e tutti gli sforzi per rimediare alla situazione non sono stati altro che un cerotto su una gamba di legno.

Ma così come una rondine non fa primavera, nemmeno un corvo fa inverno. Perché un'ambiguità originaria non era mai stata dissipata fino ad allora, e non più di adesso: quella di questa "federazione di Stati nazionali" citata da Jacques Delors ma così vicina a un ossimoro. Il Regno Unito, con il quale l'innesto non aveva mai preso piede, intendeva sollevarlo a modo suo puntando alla porta d'uscita.

Impietrito dalla prospettiva di perdere il Regno Unito, il Consiglio europeo non ha esitato a proporre di tradire l'ideale dell'integrazione, senza consultare i popoli europei! Tra le perle della corona: rinuncia esplicita a un'Unione sempre più ristretta, declassamento di qualsiasi monopolio monetario dell'euro, possibilità per la maggioranza dei parlamentari nazionali di ripudiare una norma europea, esclusione dalle prestazioni sociali nazionali per i residenti di un altro Paese membro.

La cosa sorprendente è che gli inglesi decisero comunque di lasciare l'Unione! Ma come biasimarli per aver lasciato un club in cui ogni coesione è stata gettata ai quattro venti, anche con il pretesto spurio di accontentarli? La Brexit avrà avuto il merito di risparmiarci di pagare per un Remain a condizioni indegne di una vera Unione.

Da parte sua, il Parlamento europeo, scoprendo di avere una vocazione missionaria in tutte le direzioni, ha iniziato a surfare sull'onda dell'esemplarità ecologica d'avanguardia, senza preoccuparsi troppo della reale capacità di adattamento dell'economia europea, né di verificare fino a che punto i suoi concorrenti aderissero a una simile professione di fede.

Da parte sua, la Commissione europea, scoraggiata dal perseguire progetti politici ambiziosi o dal cercare di riformare le istituzioni, non ha mancato, in assenza di grandi compiti, di soccombere a quelli piccoli, fonte di eccessiva tecnocrazia. Anch'essa ansiosa di dare l'esempio come il Parlamento, non ha tardato a sacrificarsi, più o meno, alle correnti e alle sirene dello Zeitgeist eco-socio-libertario.

In mancanza di personale sufficiente, è arrivata a fare affidamento su una miriade di comitati di esperti e consulenti di origine prevalentemente anglosassone, nonché su lobby socio-categoriali di ogni tipo, che ora proliferano intorno alle istituzioni europee, molte delle quali sono più motivate dal finanziamento del loro lavoro che dalle sfide politiche, economiche e di sicurezza di questa Unione a più teste.

"È questo che fa di tua figlia una muta", avrebbe concluso Molière. Il vostro "méli-mélo", come avrebbe detto de Gaulle in un momento in cui la Comunità originale lo meritava meno!

La povertà ci trascina verso il basso e ci fa la guerra da tutti i lati

Nonostante, o a causa, di questi interventi molteplici ma non coordinati, il declino della competitività dell'Europa continua senza sosta, come ha sottolineato con forza il rapporto Draghi. Ma dove troveremo i 750-800 miliardi di euro all'anno di investimenti aggiuntivi, pari a quasi 5% del PIL, per recuperare il nostro ritardo tecnologico e garantire il nostro futuro economico, sociale e di sicurezza, quando i nostri Stati membri, di fronte a finanze pubbliche vacillanti in alcuni casi e a crisi aperte in altri, si rifiutano di rafforzare un bilancio europeo che pesa cinque volte meno di questi 5%, o di prevedere qualsiasi nuovo prestito collettivo sulla falsariga di quello, definito eccezionale, concesso per far fronte alla crisi del Vietnam?

Evitando ogni confronto, il programma della rinnovata Commissione presentato al Parlamento da Ursula von der Leyen somma priorità in tutte le direzioni ma evita accuratamente di affrontare la questione centrale e irrisolta delle nuove risorse richieste dalle conclusioni del rapporto Draghi che, nonostante tutte le smentite promesse/giurate, sembra condannato come tutti i precedenti a finire nel cassetto...

Per compensare tale abdicazione da parte dell'esecutivo europeo, non potremo più contare come in passato su un motore franco-tedesco che si è rotto. L'incomprensione culturale di una Francia giacobina e antifederalista contrapposta alla Germania ha continuato a peggiorare, nonostante l'euro, e le relazioni reciproche si sono indebolite e persino deteriorate, nonostante i vani tentativi del Trattato di Aquisgrana. Soprattutto, entrambi i Paesi stanno attualmente affrontando gravi crisi politiche ed economiche.

Infine, è ancora molto rischioso contare su un effetto a catena politico, industriale o tecnologico significativo del programma di riarmo europeo promesso dopo l'aggressione della Russia all'Ucraina. Già incomparabile sulla carta con le risorse degli Stati Uniti, da cui dipende ancora la protezione dell'Europa, non è riuscito finora a generare uno slancio convincente, né in termini di progetti comuni senza precedenti, né di preferenze reciproche, né di investimenti della portata richiesta. Di fronte al rischio di disimpegno americano dopo il ritorno di Donald Trump, sembra incapace di recuperare, sia in termini di sostegno all'Ucraina che di sicurezza europea di fronte a Putin.

Uscendo dal clima invernale che ci ha fatto vergognare

"Pris dans leur vaisseau de verre les messages luttent mais les vagues les ramener en pierres d'étoile sur les rochers". Come non vedere nel "tous les cris les SOS" del compianto Balavoine l'analogia con la nostra persistente incapacità di convincere i nostri leader ad attraversare il Rubicone e ad abbattere la corazza del loro territorio per darsi i mezzi per mostrare solidarietà, finalmente su una scala commisurata alle sfide, ai pericoli e alle opportunità di un nuovo mondo in cui non hanno altre risposte da offrire?

Di fronte agli ostacoli e alle battute d'arresto, la perseveranza ostinata, contro ogni previsione, anche di fronte alle bottiglie in mare, non trionferà alla fine su tutto ciò che è imponderabile, anche se ciò significa rimettere costantemente il lavoro sul tavolo da disegno? Dedichiamo allora con convinzione all'Europa dei nostri desideri l'SOS di un cantante ispirato: "dobbiamo cambiare gli eroi in un mondo in cui il meglio resta da fare".

Torna all'inizio
it_ITIT