Europa

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Università di Roma "La Sapienza
La riflessione che propongo oggi all'Associazione Jean Monnet affronta un tema di grande valore strategico per il ruolo che l'UE svolge a livello internazionale. Nei mesi e negli anni a venire, l'UE dovrà affrontare sfide di grande intensità e importanza globale: ridurre la povertà e le disuguaglianze, promuovere una crescita economica compatibile con la tutela dell'ambiente, della salute, del lavoro dignitoso e della parità di genere, promuovere l'indipendenza energetica, l'innovazione, la sicurezza e la difesa della democrazia e dei diritti umani. Queste sfide porranno l'UE in competizione con le maggiori potenze industriali e tecnologiche del mondo, a partire da Stati Uniti e Cina.
Ma l'UE dovrà fare i conti anche con Stati di minor peso economico ma molto determinati ad affermare la propria presenza politica e militare, a partire da Russia, Turchia e Iran, in una regione periferica del Mediterraneo e dell'Europa orientale che tradizionalmente è stata di interesse per l'Europa europea ma dove, a seguito del cambio di strategia della politica estera americana e dell'incoerenza delle politiche di cooperazione europea, sono emerse nuove alleanze geopolitiche e vecchie e nuove rivalità che minacciano la sicurezza dell'UE.
In un contesto di relazioni internazionali e geopolitiche particolarmente critiche, ulteriormente aggravate dai fenomeni protezionistici legati alla guerra commerciale USA-Cina, dagli effetti della pandemia Covid-19 non ancora superata in Europa e nel resto del mondo, e dalla guerra della Russia in Ucraina con le sue devastanti ripercussioni umane ed economiche, dobbiamo chiederci quale ruolo possa svolgere l'UE per garantire non solo gli obiettivi di una ripresa sostenibile equa e inclusiva, ma anche il ripristino dei principi democratici, del rispetto dei diritti umani e delle regole condivise che hanno favorito lo sviluppo economico dell'Europa e delle principali economie occidentali negli ultimi 60 anni.
Per rispondere a questa domanda, dobbiamo innanzitutto analizzare le politiche adottate dall'UE e dai suoi Stati membri in risposta ai tragici eventi degli ultimi tre anni in particolare. Si tratta di eventi senza precedenti nella storia economica recente per intensità, portata e caratteristiche. Anzi, indagare su questi eventi mette in evidenza la differenza sostanziale che si può riscontrare, e non solo in Europa, nelle politiche messe in atto per superare le crisi più recenti rispetto a quelle attivate a seguito della grande crisi finanziaria del 2007-2008. Spieghiamo perché.
La contrazione economica indotta dalla pandemia di Covid-19 (gennaio 2020) e l'aumento dei prezzi dell'energia a seguito della guerra scatenata dall'invasione russa dell'Ucraina (febbraio 2022) sono fenomeni economici in gran parte indotti dalle politiche messe in atto dai Paesi avanzati per far fronte a queste crisi. Per evitare la diffusione della Covid-19, le autorità politiche dei Paesi più colpiti da questa epidemia sono intervenute chiudendo tutte le attività economiche, produttive, commerciali e turistiche, riducendo così il reddito e i consumi, con un impatto negativo sull'occupazione, aumentando il numero di nuovi poveri e peggiorando la qualità della vita di tutti.
Per far sì che la Russia rinunci al "operazione militare speciale In risposta alla "guerra al terrore" in Ucraina, l'UE e molte altre economie avanzate, come gli Stati Uniti, il Regno Unito, il Canada, il Giappone e l'Australia, hanno introdotto sanzioni economiche e altre misure restrittive commerciali e finanziarie con l'intento di indebolire la capacità della Russia di finanziare la guerra, colpendo settori vitali dell'economia (principalmente l'industria estrattiva) e gli interessi dell'oligarchia russa. L'effetto immediato di queste politiche è stato quello di provocare forti movimenti speculativi sul mercato europeo del gas a seguito della contrazione delle forniture di gas russo all'Europa (-40% nel 2021; -45,5 % nel 2022), dell'aumento del prezzo dell'energia e di altre importanti materie prime e semilavorati, con conseguente ripresa dell'inflazione, del rallentamento dell'economia e del commercio e, per alcuni Paesi europei, dell'inizio di fasi recessive.
Esistevano misure alternative?
Negli ultimi due anni si sono verificati eventi drammatici, con costi economici e sociali importanti nella maggior parte dei Paesi avanzati, e non solo nell'economia russa sottoposta a sanzioni. Si sarebbero potute adottare misure alternative?
Nel caso della pandemia, era difficile immaginare soluzioni alternative al problema. isolamentoQuesto nonostante le misure adottate dai Paesi più colpiti dalla pandemia, sia in Europa che nel resto del mondo, non siano state sempre coerenti e coordinate. Da qui gli errori commessi nella fase iniziale della diffusione della Covid-19, con la carenza di farmaci e prodotti sanitari necessari per proteggersi dal virus, i ritardi negli interventi da attivare, il sovraffollamento degli ospedali e le crescenti controversie sulla Novax. Lo shock alla domanda e all'offerta causato dalle misure restrittive adottate era inevitabile, ma va anche aggiunto - e questa è la nota positiva per gli Stati membri dell'UE - che la reazione innescata dalle autorità nazionali ed europee per la fornitura di vaccini anti-Covid e le successive campagne di vaccinazione, il coordinamento messo in atto dall'UE e dagli Stati membri per rafforzare i sistemi sanitari nazionali e proteggere la salute dei cittadini (allontanamento sociale, chiusura di scuole, stabilimenti produttivi e negozi, lavoro intelligente) hanno contribuito a contenere la diffusione del virus, a salvare vite umane e, con i finanziamenti del UE di nuova generazione Ciò contribuirà a stimolare la ripresa economica dell'UE e a facilitare la transizione ecologica e digitale.
Le sanzioni e le misure restrittive attivate nei confronti della Russia, che sono tra le più grandi e numerose imposte a una grande potenza dalla Seconda Guerra Mondiale, non hanno raggiunto l'obiettivo desiderato, ovvero convincerla ad abbandonare il suo intento bellico in Ucraina. La storia ci insegna che queste misure, attivate singolarmente dagli Stati e/o dalle organizzazioni internazionali, possono produrre costi economici significativi per le economie dello Stato che ha commesso gravi crimini, ma non cambiano il suo comportamento né impediscono conseguenze ancora più grandi e drammatiche su scala globale. È quanto accaduto con le sanzioni decise dalla Società delle Nazioni dopo l'invasione italiana dell'Etiopia (1935), sospese dopo soli sette mesi per la riluttanza di molti Stati membri ad applicarle e per l'assenza di obblighi formali a rispettarle. Lo stesso accadrà in seguito con le sanzioni internazionali contro l'Iraq dopo l'invasione del Kuwait e in molte altre situazioni in cui l'applicazione di sanzioni decise dall'ONU o da singoli Stati contro chi aveva violato gli obblighi internazionali si è rivelata inefficace come deterrente.
Le Istituto Peterson per l'economia internazionaleche da oltre 25 anni pubblica studi sull'efficacia delle sanzioni, in una revisione di 204 regimi di sanzioni economiche tra il 2007 e il 2014 stima che solo 34% di sanzioni hanno raggiunto il loro obiettivo. Queste misure tendono ad avere un impatto maggiore sui Paesi da cui provengono le sanzioni che su quelli a cui vengono applicate, soprattutto quando le relazioni commerciali ed economiche tra i due blocchi di Paesi sono strette. La globalizzazione economica e la finanza internazionale, con la riduzione delle importazioni di prodotti energetici dalla Russia e il congelamento dei conti correnti e altri tipi di restrizioni finanziarie attivate fino ad oggi, hanno contribuito non solo ad aumentare il costo delle sanzioni, ma anche a far diminuire le esportazioni di molti beni e servizi dai Paesi, in particolare europei, che commerciano con la Russia. Sebbene le sanzioni si siano spesso rivelate inefficaci, sono l'arma che l'Occidente ha utilizzato più frequentemente nelle controversie internazionali con Paesi come Iran, Russia, Corea del Nord, Cuba, Venezuela e Cina.
Restano valide le considerazioni che emergono dalla lettura degli studi che hanno affrontato la questione (Lebrun-Damiens, Allard 2012 ; Felbermayr et al. 2020 ; Hufbauer, Hogan, 2022) : 1) gli effetti delle sanzioni non possono essere generalizzati ma devono essere studiati caso per caso; 2) i costi delle sanzioni introdotte per specifici settori, rispetto a quelle di carattere universale che colpiscono tutte le attività produttive, si concentrano principalmente sulle imprese che operano in quei settori; 3) le sanzioni tendono ad essere più efficaci se sono accompagnate da sanzioni definite "secondarie" in quanto mirano a colpire singoli asset finanziari e imprese o a penalizzare individui che fanno affari con lo Stato sanzionato; 4) le sanzioni su importanti materie prime e beni industriali, proprio per il ruolo che svolgono nel commercio mondiale, come nel caso del gas, del petrolio greggio e dei prodotti raffinati, tendono a essere meno efficaci perché lo Stato sanzionato può eluderle reindirizzando le esportazioni verso Paesi che si sono dichiarati neutrali; 5) le sanzioni economiche devono essere valutate sul lungo periodo, ma l'allungamento dell'orizzonte temporale aumenta la difficoltà di stimare sia i rischi derivanti dalla comparsa di effetti indesiderati sulla popolazione civile (carenza di beni di prima necessità e di medicinali, crollo della moneta, aumento dei prezzi, aumento della povertà), sia perché le sanzioni tendono a rafforzare gli Stati governati da regimi autocratici e totalitari, sia perché aumenta il rischio di un'escalation delle armi offensive utilizzate.
Per rispondere in modo esauriente alla domanda se fosse possibile ricorrere a sanzioni diverse e/o aggiuntive rispetto a quelle attivate dall'UE e dalle principali economie avanzate, è necessario approfondire tre situazioni tra loro correlate: le ragioni del conflitto, i crimini commessi dalla Russia nelle regioni occupate e le reazioni delle istituzioni internazionali e degli Stati più influenti dopo l'invasione dell'Ucraina.
Partiamo dalle ragioni del conflitto russo-ucraino, ovvero da quando, nel febbraio 2014, la Russia ha invaso e poi annesso, dopo il farsesco referendum del marzo 2014, la Crimea, regione prevalentemente russofona rimasta all'Ucraina dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica. In realtà, il conflitto russo-ucraino è sorto sotto il presidente Yanukovych (2010-2014) tra i sostenitori filorussi presenti soprattutto nelle regioni di Donetsk e Lugansk, nell'est del Paese, abitate da 3,7 milioni di persone, e i sostenitori filo-occidentali di un'alleanza tra Ucraina e UE, A questi si sono aggiunti gruppi nazionalisti e fascisti di destra che hanno portato alla rivolta di Maïdan (dal nome della piazza principale di Kiev dove si sono svolte la maggior parte delle manifestazioni anti-russe) e alla cacciata del presidente Yanukovych dal potere. In seguito a questo evento, gruppi armati filorussi, sostenuti da Mosca, hanno preso il controllo degli edifici governativi di entrambe le regioni, hanno dichiarato l'indipendenza dell'Ucraina e indetto un referendum in cui la maggioranza ha votato per l'annessione alla Russia (maggio 2014). La Russia, nel tentativo di mantenere la propria influenza in entrambe le regioni e di garantire che l'Ucraina si ritiri da un'eventuale adesione alla NATO, invia i propri soldati al confine meridionale con l'Ucraina. Gli anni dal 2014 al 2021 vedono l'avvio di vari tentativi di porre fine al conflitto scoppiato nella regione del Donbass, il primo con gli accordi firmati tra Ucraina, separatisti filorussi, Russia e OSCE (settembre 2014) e il secondo con gli accordi di Minsk, firmati da Russia, Ucraina, Germania e Francia nel 2015, che non porteranno alla cessazione delle ostilità nelle due regioni, rimanendo di fatto inattuati.
L'invasione delle truppe russe, iniziata il 24 febbraio 2022 con l'obiettivo di riprendere il controllo politico e militare dell'Ucraina, ha segnato l'inizio di un conflitto armato che, nel breve volgere di un anno, ha provocato enormi perdite umane ed economiche, migliaia di morti e feriti civili e militari, migliaia di ucraini deportati in Russia, 6,5 milioni di sfollati interni e più di 4 milioni di ucraini in fuga dal Paese, la distruzione di intere città, villaggi, infrastrutture di trasporto, abitazioni civili, edifici pubblici, fabbriche, strutture sanitarie, teatri e centrali elettriche, per un danno complessivo stimato dal Scuola di Economia di Kiev a più di 250 miliardi di dollari. I costi di ricostruzione del Paese saranno di gran lunga superiori. L'OCSE stima che i danni economici derivanti dalla guerra in Ucraina, l'aumento dei prezzi dell'energia e dei generi alimentari, e in generale delle principali materie prime, il calo del PIL e l'aumento dell'inflazione, stanno causando costi economici nei Paesi devastati dalla guerra e nel resto del mondo stimati in oltre tremila miliardi di dollari.
Nel febbraio 2022, a seguito dell'invasione russa, l'Ucraina, nonostante i due Stati in conflitto avessero firmato la Convenzione del 1948 sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio, ha presentato un ricorso alla Corte internazionale di giustizia (CIG) per sostenere che l'invasione era illegittima, essendo stata motivata dalla necessità della Russia di porre fine alla "guerra al terrorismo". il genocidio di milioni di persone che vivono a Luhansk e Donetsk "Ha inoltre chiesto ai giudici dell'Aia di adottare misure per l'immediata sospensione delle operazioni militari intraprese dalla Federazione Russa, responsabili delle numerose vittime civili e militari a seguito dei bombardamenti sulle città ucraine. Come è noto, la Corte ha accolto il ricorso dell'Ucraina, ha respinto l'obiezione sollevata nella memoria difensiva della Russia, ovvero che la Corte non era competente, e ha riconosciuto che l'operazione militare speciale aveva causato danni irreparabili alla vita, ai diritti di proprietà e all'ambiente in Ucraina.
Per quanto riguarda i crimini di guerra commessi dalle truppe russe, come testimoniato dalla scoperta di numerose fosse comuni di centinaia di soldati e civili torturati e uccisi a Bucha, Izyum, Borodyanka, Makariv e in altre città recentemente liberate dall'esercito ucraino, l'Ucraina, pur non essendo parte della Convenzione, ha presentato due dichiarazioni nel 2014 e nel 2015 accettando la giurisdizione della Corte penale internazionale per i crimini commessi dalla Russia sul suo territorio. Nel febbraio 2022, il procuratore della Corte penale internazionale dell'Aia, Karim Khan, ha lanciato l'iniziativa contro i crimini commessi dalle truppe russe, sostenendo che c'era " una base ragionevole "In altre parole, ritenere che i reati rientrino nella giurisdizione della Corte.
Venerdì 17 marzo 2023, la Corte penale internazionale (CPI) ha emesso un mandato di arresto per il presidente russo Vladimir Putin per il crimine di guerra di "deportazione illegale" di bambini ucraini.
I fatti sono noti e non occorre aggiungere altro. Si poteva fare di più per fermare l'invasione, prevenire i crimini commessi dalle truppe russe e salvare l'Europa e gran parte del mondo occidentale dalla più grave sfida alla stabilità economica, politica e militare degli ultimi decenni?
Ricorso alle Nazioni Unite e al Consiglio di Sicurezza
L'invasione dell'Ucraina è stata una flagrante violazione dell'articolo 2 (paragrafo 4) della Carta delle Nazioni Unite, che vieta l'uso della forza". contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi Stato, o in qualsiasi altro modo incompatibile con gli scopi delle Nazioni Unite; oppure" . Le ragioni addotte dal Presidente Putin il giorno dell'invasione per giustificare l'intervento armato, il ricorso all'autodifesa ai sensi dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite per i crimini contro l'umanità commessi dall'esercito ucraino nel Donbass, non solo non hanno alcuna base morale o giuridica, ma sono una violazione degli standard internazionali che tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite, Russia compresa, hanno approvato.[1].
L'uso del veto ha una lunga storia, che risale alla decisione presa dagli Stati Uniti alla fine della Seconda Guerra Mondiale di creare, insieme ai Paesi vincitori, un organismo internazionale per la difesa della pace e della sicurezza collettiva con un ruolo e un'organizzazione diversi dalla Società delle Nazioni, alla quale gli Stati Uniti non hanno mai partecipato. È inutile ricordare in questa sede tutti i tentativi di riforma della Carta delle Nazioni Unite, finora falliti a causa dell'equilibrio di potere antagonista tra i cinque Stati membri con un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza (CS) e il potere di veto. Eppure non si può non menzionare l'incoerenza temporale, che si è approfondita negli anni con l'aumento del numero degli Stati membri da 50 a 193, tra gli ambiziosi obiettivi e principi definiti dai primi articoli della Carta che i Paesi membri devono rispettare e il potere decisionale quasi completamente paralizzato del Consiglio di Sicurezza, soprattutto quando è chiamato a difendere gli obiettivi e i principi fondanti che sono la base stessa delle Nazioni Unite.
Dal 1945, il veto è stato utilizzato 295 volte, 143 volte dalla Federazione Russa, 86 volte dagli Stati Uniti, 32 volte dal Regno Unito, 18 volte dalla Francia e 16 volte dalla Cina. La Francia e il Regno Unito non hanno usato il loro veto dal dicembre 1989, quando, insieme agli Stati Uniti, hanno posto il veto sulla condanna dell'invasione statunitense di Panama.
Mais la France a fait quelque chose de plus que les 4 autres pays disposant d’un droit de veto. En 2013, elle a présenté une proposition pour un engagement volontaire et collectif des cinq membres permanents du Conseil de ne pas recourir au veto en cas d’actes manifestes d’atrocités de masse. Par la suite, le Président de la République française François Hollande lors de la 70e Assemblée générale des Nations Unies en octobre 2015 a confirmé que la France ne recourrait plus au droit de veto dans les résolutions du Conseil de sécurité concernant les situations d’atrocités confirmées comme le génocide, les crimes contre l’humanité, des crimes de guerre à grande échelle. L’initiative de la France, menée conjointement avec le Mexique, a été soutenue par 106 pays membres des Nations Unies.
Le recours à l’ONU, la plus importante organisation de défense de la paix et de la sécurité internationale, aux dispositions de la Charte fondatrice approuvée en 1945 et aux résolutions du CdS, seul organe habilité à décider du recours à la force dans les relations entre États, bien que dans des conditions précises ou autorisées comme le prévoit l’article 39 du Chapitre VII, a donné un résultat négatif.
Une première résolution proposée par l’Albanie et les États-Unis au CdS (février 2022) pour la condamnation de l’agression militaire de la Russie, l’exhortation à cesser le recours à la force et à « se retirer immédiatement, complètement et sans condition toutes ses forces militaires » de l’Ukraine, en violation de l’article 2(4) de la Charte des Nations Unies, après avoir été approuvée par 81 Etats membres et le CdS avec 11 pays membres sur 15 et 3 abstentions (Chine, Inde, Emirats Arabes Unis) a été bloquée par vote négatif de la Russie. La proposition de résolution condamnait également les annexions des 4 régions ukrainiennes après les référendums jugés illégaux organisés dans ces régions (Donetsk, Luhansk, Zaporijia et Kherson).
Une deuxième résolution du CdS (mars 2022) de condamnation pour l’invasion de l’Ukraine et la cessation de la guerre, intervenue après le discours de Putin à la Nation annonçant le début de l’opération militaire spéciale, a été rejetée pour l’appel du droit de veto de la Russie. Cependant, le Conseil de sécurité a décidé d’investir l’Assemblée Générale dans une session d’urgence qui a abouti à la résolution intitulée « Agression contre l’Ukraine » approuvée avec 141 voix pour, 35 abstentions et 5 contre (Russie, Biélorussie, Corée du Nord, Syrie et Erythrée).
Une résolution (avril 2022) avec la demande des États-Unis de suspendre la Russie du Conseil des droits de l’homme à Genève, a été approuvée par l’Assemblée Générale avec une majorité des 2/3 des États membres votant, 93 pour, 58 abstentions et 24 voix contre (dont Russie, Chine, Cuba, Corée du Nord, Iran, Syrie, Vietnam).
En avril 2022, une nouvelle résolution adoptée par l’Assemblée Générale et parrainée par 86 États membres avec la demande aux cinq membres permanents du CdS de justifier l’usage du veto, résolution qui a vu le soutien de la France, du Royaume-Uni et les Etats-Unis, n’a pas beaucoup changé la situation car la résolution n’est pas contraignante et rien n’oblige un Etat à se justifier.
Une nouvelle proposition de résolution (septembre 2022), présentée par l’Albanie et les États-Unis, demandant de ne pas reconnaître les régions annexées par la Russie et de « retirer immédiatement, complètement et sans condition toutes ses forces militaires » du territoire ukrainien, a obtenu le vote favorable de 10 des 15 Etats membres du CdS, 4 abstentions (Brésil, Chine, Gabon et Inde) et le vote contre de la Russie.
Le 24 février 2023, l’Assemblé Générale des Nations Unies a adopté, lors d’une session extraordinaire, une résolution pour la « cessation des hostilités » et visant à « exiger » que la Russie « retire immédiatement, complètement et sans condition toutes ses forces militaires du territoire ukrainien à l’intérieur des frontières internationalement reconnues du pays ». Un vote conforme aux précédentes résolutions de l’ONU, 141 votes pour, 32 abstentions, 7 contre (Russie, Bélars, Syrie, Corée du Nord, Mali, Nicaragua et l’Erythrée).
Le conflit en Ukraine a rouvert avec force le débat sur l’exercice du droit de veto mais, à la lumière de la situation brièvement résumée ici et considérant qu’une réforme à court terme de la Charte est peu probable, la possibilité d’obtenir une résolution internationale pour arrêter la guerre et voir la Russie retirer ses troupes d’Ukraine semble très limitée.
La composition du Conseil de Sécurité, qui est restée inchangée depuis 1945, sauf en ce qui concerne le nombre de pays membres non permanents, et sa capacité de décision limitée dans la défense de la paix et dans la gestion des conflits, ont conduit beaucoup à considérer que cette institution n’a plus ni l’autorité pour accomplir les tâches qui lui sont confiées par la Charte, ni la légitimité de représenter et défendre la sécurité des 193 États membres des Nations Unies.
Continuer à défendre l’Ukraine en envoyant non seulement une aide économique mais des armes de plus en plus sophistiquées, ce qui conduira inévitablement la Russie à répondre avec des instruments offensifs toujours plus puissants et avec la mobilisation de centaines de milliers de soldats russes pour défendre les territoires conquis, peut-être une mesure nécessaire pour confirmer la solidarité et l’assistance de l’Occident contre l’agression russe et pour réaffirmer le respect du droit international, mais pas suffisant pour arrêter la guerre.
C’est la politique et la diplomatie qui doivent intervenir de manière plus décisive et crédible en multipliant et en renforçant les initiatives lancées au niveau international (ONU, UE, G7, G20) pour mettre fin à la guerre, en proposant des solutions pour arrêter le conflit en favorisant, avec la participation de sujets du droit international qui garantissent la neutralité et l’impartialité, la reprise des négociations désormais interrompues entre les deux États en guerre. Mais il faut aussi que ces interventions, pour ne pas se résigner à l’idée que le conflit en Ukraine ne peut pas s’arrêter parce qu’il est soutenu, ou en tout cas pas entravé, par des pays qui critiquent ouvertement la politique des États-Unis et de l’OTAN, s’accompagnent de manifestations de soutien pour le peuple russe, afin qu’il ne soit pas entraîné par le régime actuel dans une guerre qui pénalise sévèrement son économie et détruit ses perspectives d’avenir. Des appels à toute la société civile et aux institutions nationales, européennes et internationales sont nécessaires afin qu’ils manifestent leur solidarité dans la défense de l’État de droit, le principe de la responsabilité collective à partager pour garantir l’intégrité territoriale et l’indépendance politique de tout État.
Cette situation de guerre ne verra pas de fin à court terme et « n’aura pas de vainqueurs », comme l’a dit Amin Awad, l’envoyé spécial de l’ONU en Ukraine au 100e jour du conflit d’où l’importance que des espaces d’interventions puissent être ouverts par des organisations internationales et des États qui, en raison de leur histoire, des succès obtenus jusqu’à présent et des engagements pris au niveau international, ont l’autorité et la légitimité pour demander le rétablissement de la paix et assurer une protection internationale en cas de génocide ou d’autres massacres ou violations graves des droits de l’homme.
Menaces pour la sécurité européenne: le rôle de l’UE et de la France
L’UE est certainement l’une des instances internationales les plus importantes. Elle est le principal contributeur financier, avec les États membres, au budget général de l’ONU et est l’organisation régionale la plus avancée et la plus démocratique au monde avec une structure de gouvernance institutionnelle unique constituée aujourd’hui de 27 États membres qui ont volontairement adhéré à son règles de fonctionnement (l’acquis communautaire), à son modèle d’intégration et dont les citoyens élisent leurs représentants au Parlement européen depuis 1979, qui dispose de pouvoirs de contrôle démocratique sur les institutions européennes et de codécision, avec le Conseil, sur la quasi-totalité des secteurs de compétence de l’UE.
L’UE a obtenu le statut d’observateur permanent à l’Assemblée générale en 1974 et depuis 2011 a le droit de s’exprimer devant l’AG, premier parmi les autres groupes présents au siège de l’ONU, et peut donc prendre des mesures pour mener des actions partagées avec les États membres pour mettre fin à la guerre en Ukraine et rétablir la paix. La même faculté d’intervention au sein de l’AG est également accordée aux institutions de l’UE – le Président du Conseil Européen, le Haut Représentant de l’Union pour les Affaires étrangères et la politique de sécurité, la Commission européenne et la délégation de l’UE ».
La guerre en Ukraine représente un fort élément d’instabilité et une menace directe pour la sécurité de l’UE, celle des États membres et des États du voisinage oriental et occidental, à laquelle une réponse forte et unifiée doit être apportée comme le prévoit le Traité de Lisbonne. Dans le rapport annuel 2022, le Parlement européen s’est exprimé ainsi : » la guerre d’agression menée par la Russie contre l’Ukraine et les violations graves et massives, les crimes de guerre et les violations intentionnelles des droits de l’homme et des normes fondamentales du droit international par la Fédération de Russie ont mis en évidence la nécessité d’une action et d’une présence de l’Union plus forte, plus ambitieuse, plus crédible, plus stratégique et plus unifiée sur la scène mondiale"
C’est dans ce rôle que l’UE, en accord avec ses institutions et les États membres, dont certains sont directement menacés par le conflit russo-ukrainien et dans le cas de l’Europe de l’Est par la politique expansionniste de la Russie de Poutine (Moldavie, Géorgie), peut présenter des propositions et des amendements pour appeler à un plus grand engagement dans les actions de prévention des conflits et les opérations pace-keeping menées par les Nations Unies et demander aux membres permanents du CdS de respecter les obligations découlant des articles de la Charte (article 2 paragraphe 3 et 4 ; article 24 paragraphe 1 ; article 27 paragraphe 3).
Une autre action de l’UE consiste à demander à l’Assemblée Générale des Nations Unies de reprendre avec force le débat sur la nécessité d’assurer, en particulier lorsque le CdS n’est pas en mesure d’agir conformément aux dispositions de l’art. 10 et 11 de la Charte, que les décisions prises par 2/3 des États membres, bien qu’initialement rejetées par un ou plusieurs membres permanents du Conseil de sécurité, peuvent être reproposées et validées dans des résolutions ultérieures. Nous nous référons ici en particulier à la résolution de l’Assemblée Générale des Nations Unies de mars 2022 qui, réunie en session d’urgence, a condamné l’intervention russe à une écrasante majorité et imposé la cessation des hostilités.
Cette résolution a un précédent important, la résolution 377A adoptée par l’Assemblée Générale en 1950 lors de la crise coréenne, Uniting for peace, par laquelle, remplaçant le Conseil incapable de décider faute d’unanimité des membres permanents, elle a décidé de se réunir en « session extraordinaire d’urgence » pour prendre des mesures urgentes, y compris le recours à la force armée si cela est jugé nécessaire pour le rétablissement de la paix et de la sécurité internationales.
L’Union européenne, avec les États membres et les Nations Unies, doivent exercer une action décisive pour sensibiliser l’Assemblée Générale à faire adopter une nouvelle résolution Uniting for peace en session extraordinaire d’urgence visant à éviter les risques de conflit qui pourraient conduire à la menace nucléaire et de demander l’adoption immédiate des mesures prévues par le Chapitre VI de la Charte pour le règlement pacifique des différends (telles que la désignation d’un « représentant spécial » pour la médiation, le recours aux organisations ou accords régionaux, la saisine de la Cour de la justice internationale, recommander des procédures ou des modes de règlement appropriés, etc.).
Un deuxième sujet politique important est la France, le seul État de l’UE qui est membre permanent du Conseil de Sécurité et qui a apporté une contribution significative au débat sur le droit de veto en renonçant à son utilisation en 2015 lors des résolutions concernant les crimes et les atrocités de masse. La France est aussi le pays qui, avec la Chine, a le moins utilisé le veto (18 fois), qui ne l’a pas utilisé depuis plus de 25 ans et qui travaille depuis longtemps à rendre plus transparente l’action du CdS et à réduire au maximum les ingérences politiques lorsque la défense de ce qui est perçu comme les valeurs fondatrices de la communauté internationale est en jeu.
Dans l’intention de favoriser l’adoption de recommandations visant à accélérer la prise en charge par les membres permanents du CdS d’une responsabilité collective dans les matières susceptibles de mettre en danger la paix et la sécurité internationales, la France, avec l’appui du pays membre non permanent du CdS représentant l’Europe de l’Ouest (actuellement et jusqu’en 2024 c’est Malte) et des États de l’Union peuvent promouvoir des actions visant à :
La risposta alla guerra della Russia non deve consistere solo in sanzioni economiche e nell'invio di aiuti economici e armi, ma richiede una strategia condivisa con le istituzioni e i regimi politici democratici che hanno espresso con fermezza e senza esitazioni la loro condanna dell'invasione dell'Ucraina. È inoltre necessario attivare soluzioni politiche e diplomatiche che possano portare ad un aumento del numero di Stati che condividono queste iniziative, ed è altresì necessario estendere il fronte di opposizione rappresentato dalla società civile, in primo luogo europea, e da coloro che non vogliono abbandonare la popolazione ucraina e russa ai sacrifici e alle perdite umane ed economiche causate dalla guerra.
[1] La stessa Corte internazionale di giustizia, principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, in merito al diritto individuale e collettivo all'autodifesa (articolo 51), ha stabilito in diverse occasioni che il diritto all'autodifesa armata deve rispettare i parametri di necessità, proporzionalità e non violazione del diritto internazionale umanitario.